Paolo Scheggi. Lamiere “on the road”, 1958-1960 per GDC18

In occasione della Diciottesima Giornata del Contemporaneo, sabato 8 ottobre 2022, organizzata da AMACI e dedicata al tema dell’ecologia, connesso a quello della sostenibilità: “urgenze globali che ci mettono di fronte alla necessità di ripensare il sistema dell’arte contemporanea tramite una rinnovata consapevolezza e una più diffusa sensibilità”, l’Associazione Paolo Scheggi, attraverso le proprie pagine social (Facebook e Instagram) e il sito web dedicato, propone un focus sulle prime opere di Paolo Scheggi, le Lamiere (1958-1960).
Forse non tutti sanno infatti che questi lavori, destinati ad aprirsi e tradursi poi nelle forme scavate in profondità delle più note Intersuperfici a Zone riflesse e Intersuperfici curve dell’artista, nascono da materiali di scarto che Scheggi, dalla fine degli anni Cinquanta, recupera dalle strade, dalle officine e tra gli oggetti di casa: lastre di metallo segnato dal tempo che, anziché venire buttate, sono piegate, sovrapposte, saldate a formare lamiere cariche di prospettive. 
Scheggi stesso chiama questa tecnica di lavoro “saldage”; sono gli anni dell’esistenzialismo e dell’Informale, segnati dalle letture di Albert Camus e di Jean Paul Sartre che l’artista conosce personalmente a Roma: il filosofo francese scriverà anche un saggio per la rivista “Il Malinteso”, fondata da Scheggi con amici e compagni fiorentini all’inizio del 1960.

Due testimoni d’eccezione – Germano Celant e Fernanda Pivano – così descrivono le Lamiere di Paolo Scheggi:

“[…] Viveva lì a Settignano, mi dissero; era serio e silenzioso, […] sorpreso e avido, impressionabile come la cera, o per dirla più modernamente come una pellicola a 27 Din o 500 Asa o che so io. […] poi apparvero montaggi di lamiere di colori diversi, di grane, di ondulazioni, spessori diversi. I quadri erano molti, grandi e piccoli, e presto invasero la stanza, sempre più buia, illuminata da una lampada protetta da un piatto metallico”
(Fernanda Pivano, testo dattiloscritto, 8 aprile 1963)

“1959. La scoperta di Fontana, l’istanza al superamento, i primi quadri «aperti» e le prime lamiere sovrapposte.
La «scelta» di Fontana si accompagna a influenze costruttiviste che lo portano immediatamente al controllo operativo, e da cui derivano le prime contrapposizioni di elementi orizzontali, formalmente omogenei, a elementi accidentali e casuali, spesso presenti nel fattore materico. La composizione è già costruita e verificata a priori. Alla fine dell’anno, una grande composizione rettangolare, in lamiera di diverse tonalità di grigio e nero. Scheggi, alla ricerca di un «suo» linguaggio, sente l’esigenza di scavare e di aprire la lamiera d’acciaio: la sua immaginazione lo porta così a scoperchiare lo spazio suggerito dalla tela di Fontana, le labbra del taglio si aprono all’esterno e rivelano un altro spazio, un’altra lamiera.
La luce, agendo sulla concavità e sulla convessità delle bordature, crea degli effetti plastici, non più contingenti allo spazio, ma partecipi di esso, fattori essenziali della costruzione. La aleatorietà luminosa diventa così un elemento di «apertura» e non di chiusura dell’opera. Questo oggetto esposto alla galleria Numero nel novembre 1959, presenta ancora nella parte in basso a sinistra una ricerca di contrapposizione ottica che si ricollega alle prime esperienze, quasi a voler ribadire la necessità di aprire oltre che spazialmente anche otticamente la superficie.
1960. Gli oggetti in lamiera nera: il monocromo, con la conoscenza di Klein e di Manzoni, diventa un fattore fondamentale del lavoro di Scheggi. Si inizia la verifica delle forme semplici: il tema è dettato dalle inferenze del cerchio con la parabola, oppure dalla strutturazione seriale di immagini uguali. La bordatura è sempre presente, anzi si dilata, lasciando trasparire maggiormente il fondo che da quest’anno diventa protagonista della sua ricerca.”
(Germano Celant, Casabella n. 312, 1967)

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